La casa tutta elettrica: quando conviene, soluzioni e costi
Come si fa a rinunciare al gas? Abbiamo approfondito il tema con due ingegneri, che hanno rimarcato l’importanza di una buona coibentazione prima di intervenire sugli impianti.
Rinunciare del tutto al gas per un appartamento elettrificato al 100% è una buona idea? In quali circostanze è consigliabile compiere una scelta di questo tipo?
Sono domande sempre più frequenti tra chi deve ristrutturare casa, o sta valutando l’acquisto di un’abitazione nuova. E la risposta finisce per legarsi a doppio filo con le caratteristiche che dovrebbe possedere una “casa passiva” o NZEB, l’acronimo inglese che identifica gli edifici a bassissimo consumo energetico (Nearly Zero Energy Building).
Andiamo con ordine. Per capire bene cosa fare, abbiamo chiesto aiuto a due ingegneri esperti di edilizia sostenibile: Sergio Pesaresi, progettista e docente CasaClima e progettista accreditato “PassivHaus” di Rimini; Sergio Saggini, consulente CasaClima e costruttore attivo nella zona di Viterbo.
Innanzi tutto, entrambi gli ingegneri evidenziano che i massimi vantaggi della scelta “100% elettrico” si ottengono con un intervento complessivo, che parte dalla coibentazione (cappotto termico esterno o interno con nuovi infissi) per ridurre la dispersione di calore e di conseguenza il fabbisogno energetico.
In sostanza, bisogna pensare prima all’involucro e poi agli impianti.
Vediamo meglio.
Una casa totalmente elettrificata prevede in genere una pompa di calore con serbatoio d’accumulo, oltre naturalmente al piano a induzione per la cucina, in modo da staccarsi completamente dalla rete del gas e utilizzare l’energia elettrica per il riscaldamento, la produzione d’acqua calda e la cottura dei cibi.
Quando vince la pompa di calore
La pompa di calore (pdc), però, spiega Pesaresi, “lavora con acqua a bassa temperatura a 25 gradi centigradi, al contrario della caldaia a gas che lavora a 75 gradi, quindi la pdc per scaldare bene un ambiente ha bisogno di una grande superficie radiante, ad esempio un sistema a pavimento oppure a soffitto”.
Da un punto di vista tecnico, aggiunge l’ingegnere, “si può utilizzare l’acqua della pompa di calore nei caloriferi esistenti o nei ventilconvettori (fancoil), ma in entrambi i casi, la resa termica è bassa, perché diminuisce notevolmente il salto termico fra la temperatura di mandata/ripresa e quella dell’ambiente”.
Quindi, in sostanza, non conviene passare dal gas alla pompa di calore se prima non si riduce il carico termico complessivo dell’abitazione.
Un esempio: in una casa degli anni ’80 poco isolata, chiarisce Saggini, “dove abbiamo una caldaia a gas da 24 kW, per passare a una pompa di calore bisognerebbe installare un apparecchio da almeno 12 kW termici in modo da riscaldare l’acqua a 55-60 gradi”.
E a quel punto occorrerà aumentare notevolmente la potenza del contatore: a conti fatti, la convenienza del passaggio gas-elettrico in un caso del genere è assai dubbia.
Tra l’altro, osserva Saggini, “la pompa di calore soffre quando deve lavorare a temperature così elevate, perdendo molto in efficienza”, tanto che “non può produrre acqua calda istantanea, come fa la caldaia a gas”.
Ecco perché alla pdc va abbinato un serbatoio di accumulo per l’acqua calda sanitaria, tarato sulle esigenze/abitudini delle persone.
Nella maggior parte delle situazioni, raccontano i nostri esperti, è sufficiente installare una pdc da 7,5 kW termici (ricordiamo per completezza che una pompa di calore restituisce in media 4-5 kWh termici per ogni kWh elettrico consumato) con un accumulo da almeno 200 litri considerando che con 200 litri si fanno tranquillamente un paio di docce consecutive.
Il serbatoio, aggiunge Saggini, “mantiene l’acqua a 50 gradi e si ricarica in 20-40 minuti secondo le temperature esterne”.
L’importanza della coibentazione
Ricapitoliamo: se voglio ristrutturare casa con un intervento globale, di riqualificazione energetica più profonda, ha senso eliminare completamente il gas per elettrificare tutto.
Con un’ottima coibentazione, afferma Pesaresi, “si può anche pensare alla soluzione della pompa di calore collegata ai caloriferi esistenti”, ma l’idea è certamente da scartare in una casa tradizionale con uno scarso isolamento termico.
Altrimenti, sempre rimanendo nel campo delle ristrutturazioni, per evitare interventi troppo invasivi sul lato degli impianti, precisa Saggini, “si può realizzare un sistema radiante a controsoffitto o si possono sostituire i vecchi caloriferi con dei fancoil mantenendo i tubi esistenti, ma con il vantaggio di poter lavorare con una temperatura di mandata un po’ più bassa, sui 40 gradi”.
Peraltro, i fancoil hanno un flusso d’aria più leggero e poco percepibile, al contrario degli split che tendono invece a “sparare” troppo l’aria calda o fredda.
Ancora un appunto sul riscaldamento: con la pompa di calore, soprattutto se abbinata a un impianto radiante nel pavimento oppure a soffitto, conviene far funzionare l’intero “pacchetto” (pdc-pannelli radianti) in modalità continua, impostando una temperatura che sarà mantenuta costante negli ambienti interni, in modo da ottimizzare il rendimento complessivo.
E qui è inevitabile fare un riferimento al concetto di “comfort”, di fondamentale importanza per entrambi gli ingegneri che abbiamo interpellato, perché tra i principali benefici di una casa ben coibentata e tutta elettrica c’è proprio il benessere, la confortevolezza degli ambienti.
Piani a induzione e contatori
Veniamo poi ai piani a induzione: questi piani oggi costano meno rispetto a qualche anno fa e sono relativamente facili da installare anche in cucine esistenti.
Tra l’altro, è bene chiarire che la cottura a induzione è molto più veloce (anche perché tutta l’energia va sulla pentola senza dispersioni), quindi in tre minuti si fa bollire l’acqua, al contrario di un fornello a gas.
Il piano elettrico, insomma, può consumare parecchio, data la sua potenza, ma per un periodo limitato.
Di conseguenza, evidenzia Saggini, di solito è sufficiente un contatore da 4,5 kW per vivere senza problemi in un’abitazione elettrificata al 100%, che in pratica equivale a una casa “normale” con un contatore da 3 kW (basta non accendere troppi elettrodomestici tutti insieme).
Quanto costa
Prima di dare qualche indicazione generale sui costi, è bene chiarire un altro punto: in una casa 100% elettrica ben coibentata, i vantaggi (economici e ambientali) aumentano se si riesce ad autoprodurre la (poca) energia richiesta con le fonti rinnovabili.
Tanto che sul nuovo, ricorda Saggini, “è obbligatorio installare una certa quantità di fotovoltaico secondo una certa formula, normalmente si parla di 1,5-3 kW su tetto”.
C’è anche un discorso “culturale”, aggiunge Pesaresi: togliere il gas per poi prelevare tutta l’energia elettrica dalla rete, energia che in Italia è prodotta in buona parte proprio con il gas naturale, non sembra la scelta migliore per la sostenibilità ambientale.
Veniamo ai costi.
Per quanto riguarda le nuove realizzazioni, considerando interventi “spinti” con cappotti termici, impianti radianti e pompa di calore, sostiene Saggini, “il costo medio di costruzione per l’impresa aumenta del 20% circa, che inciderà per un 12-13% circa sul prezzo finale pagato dal cliente”.
In pratica, se prima si poteva vendere, ad esempio, a 2.000 euro al metro quadrato, ora si dovrà andare intorno ai 2.240 €/mq.
Per quanto riguarda, invece, le ristrutturazioni, molto dipende dal tipo d’intervento. In linea di massima, dopo aver sentito entrambi gli ingegneri, si può stimare una spesa intorno a mille euro/mq per un lavoro “tutto compreso” di riqualificazione profonda (coibentazione, infissi, impianti, finiture di medio livello).
Guardando solamente al costo per l’acquisto/installazione della pompa di calore con accumulo per l’acqua calda e del piano a induzione, si può partire da circa 8.000 euro. L’investimento poi sale se bisogna modificare anche l’impianto di riscaldamento esistente.